Prosegue la nostra rubrica “ViaggioInsieme a…” che stavolta vede ospite un’energica brianzola, amante delle sue terre ma ancor più di lidi lontani… specialmente orientali. Ebbene si signori, perché parlando di e con Cabiria Magni, creatrice del blog Triportreat, è imprescindibile il rimando all’Est del globo, sede della maggior parte dei suoi numerosi viaggi. Criptica al punto giusto, quello che ti spinge ad essere curioso di lei come lei lo è del mondo, la lombarda riesce a trasporre nei suoi scritti le sensazioni provate durante le sue avventure, e i contrasti/affinità culturali tra i luoghi della sua infanzia e quelli del proprio presente.
Interiorizzare situazioni e semplici fatti di vita quotidiana le riesce alla perfezione: è così che si fa largo tra i blogger attirando sempre più “seguaci” bramosi di aneddoti e introspezioni. Proprio la sua notorietà sui social ci ha spinto a conoscerla meglio. Fatelo anche voi leggendo il secondo capitolo della saga dedicata agli Ulisse di ViaggioIn.
1) Ciao Cabiria! Ci hanno colpito molto, nella tua presentazione, i concetti di creatività e curiosità. Esattamente quanto e come contano per scegliere una destinazione?
Per me sono la base. Ho sempre scelto le mie destinazioni in base alle sensazioni, in base a piccoli aneddoti che mi incuriosivano; non ho mai programmato niente a tavolino secondo i criteri cosiddetti “scientifici”, come ad esempio la stagione perfetta o cose di questo tipo. Per fare un esempio, sono sempre stata in Thailandia nel periodo delle piogge e lo rifarei ancora!
2) Nei racconti delle tue avventure sembra riesca ad immergerti a pieno nella realtà che visiti. Ci sono state delle volte in cui ti sei trovata come un pesce fuor d’acqua, magari pensando “dove sono capitata”?
“Dove sono capitata” e “chi me l’ha fatto fare” sono pensieri costanti nei miei viaggi. Quando ti metti in gioco ed esci dai soliti schemi o dai classici percorsi turistici, è normale sentirsi disorientati. Anzi, direi che è una fortuna: la capacità di lasciarsi sorprendere è una gran bella dote. Per la serie “dove sono capitata” potrei dire di quando in Thailandia sono andata a vedere come funzionava un progetto che si occupa di salvaguardare gli elefanti nel loro habitat naturale; il viaggio verso quella foresta remota del nord, vicino al confine con la Birmania, è stato abbastanza avventuroso già di per sé, e stare poi a dormire presso una famiglia di karen è stata un’esperienza piuttosto forte, che però sono felicissima di aver fatto. Per il “chi me l’ha fatto fare” invece potrei citare il famigerato trekking nelle risaie di Batad, nelle Filippine, che con le sue otto ore abbondanti su e giù per i terrazzamenti è già abbastanza impegnativo, fatto poi sotto una pioggia torrenziale che non ha cessato un attimo…è stato un episodio di quelli da ricordare. Anche perché era il giorno di Natale e sarei potuta rimanere comodamente all’asciutto e magari con le gambe sotto al tavolo! Ma forse è anche merito di questa fatica se le risaie di Batad sono per me le più belle mai viste.
3) L’amore per l’Asia è evidente dal “motto” e, bada bene, lo condividiamo a pieno. Come nasce quest’affinità con l’Oriente?
Come quella con Bali, di cui parlo tra qualche domanda. L’Oriente si è rivelato la risposta perfetta in un certo momento della mia vita, mi ci sono ritrovata in tanti atteggiamenti e in tante credenze. Alcune le ho fatte mie, altre le ho adattate al mio modo di essere e altre ancora evolvono con me, com’è giusto che sia.
4) Parlando di posti lontani il confronto tra culture viene spesso naturale. Quali sono, secondo te, gli aspetti che più differenziano le diverse estremità del mondo?
Questa è una domanda difficilissima, non so se è possibile rispondere, non in poche righe almeno. Quello che mi sento di dire è che alla fine la cosa che conta di più è l’atteggiamento di apertura: quando si esce dalla famosa comfort zone tutto cambia, e non serve certo andare dall’altra parte del mondo. L’importante è affrontare il cambiamento con atteggiamento positivo e se necessario accoglierlo, perché non è detto che cambiare un poco di sé sia un male, anzi. Poco importa se lo spunto viene dalla cultura di un altro mondo o da un incontro con un vicino di casa.
5) Sei mai stata in un posto che ti ha talmente stregata da dire “devo tornarci”? Ti chiediamo questo perché spesso, come ben sai, il chiodo fisso di noi viaggiatori seriali è quello di vedere più posti possibili.
Sì, assolutamente, la mia lista dei ritorni è piuttosto nutrita e credo che continuerà ad allungarsi. Non sono mai stata una gran sostenitrice di numeri e statistiche, quando mi chiedono quanti Paesi ho visto non so rispondere, quindi non mi interessa aggiungerne di nuovi per aumentare la cifra. Quando un posto mi piace, ci torno e ci ritorno, senza stancarmi mai. Credo che alla base di questo atteggiamento ci sia anche la forte convinzione che non si finisce mai di scoprire un luogo, c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare perché le sfumature sono tante, se non ci si limita alla famosa lista delle cose da vedere.
6) Hai scritto un libro su Bali. Com’è avvenuto il colpo di fulmine con l’isola indonesiana?
Bali è arrivata dopo un momento molto particolare della mia vita e non so bene nemmeno io perché. Il primo viaggio che ho fatto laggiù è stato in solitaria: sono rimasta un mese e mezzo facendo base in un ashram e spostandomi per vedere l’isola. I miei amici balinesi dicono che è stata l’isola a scegliere me e a posteriori posso confermare che avevano ragione. Non è un caso che Bali faccia parte di quella cosiddetta lista dei ritorni di cui parlavo prima.
7) Curiosi lo siamo anche noi e non ci sono sfuggiti i rimandi a tatuaggi e cucina. Riguardo ai primi, come nasce la scelta di “disegnarsi” un pezzo di viaggio addosso?
Qui con viaggio però intenderei qualcosa di più ampio, oltre allo spostamento geografico; i miei tatuaggi rappresentano infatti le tappe principali della mia vita, quelle di rottura. Non si tratta di scritte o di disegni decorativi, anzi, hanno un grande significato simbolico per me, perché sono un modo per segnare i passi che mi hanno portato a essere quella che sono ora. In questi casi c’è chi usa un diario, chi la propria pelle: ognuno sceglie lo strumento che ritiene più adatto. I miei tatuaggi sono tutti rigorosamente neri, come l’inchiostro dei libri: raccontano, ma lasciano libera la fantasia e soprattutto lasciano liberi i ricordi di proiettarsi e di colorare le immagini che evocano, anche con colori diversi ogni volta. Perché a distanza di tempo, si sa, le prospettive cambiano e siamo disposti a guardarci dentro con un po’ più di indulgenza.
8) In merito alla seconda categoria, quella culinaria su cui siamo fissati anche noi, ci faresti una “Eat Parade” dei 10 piatti più buoni che hai mangiato in giro per il mondo?
E’ difficile fare classifiche in queste situazioni. Metto i miei dieci piatti preferiti, ma in ordine sparso: è impossibile dare loro una collocazione precisa!
- Il moo dad deaw (sicuramente ho sbagliato a scriverlo) di Bangkok, ovvero maiale essiccato e fritto;
- Il sambal di Bali, una salsa piccante perfetta per accompagnare il riso bollito e la qualunque;
- Il pancit delle Filippine;
- L’hummus di Tel Aviv;
- Il caffè vietnamita;
- Il curry indiano (so che è un po’ vago, ma è difficile scegliere!);
- Il chicken lemongrass di Phnom Penh, che non penso sia un piatto così tipico, ma è quello che ricordo con più piacere.
- Il corn dog della California: io l’ho mangiato lì, ma di sicuro lo fanno anche altrove;
- Il barbecue del North Carolina, assolutamente particolare perché la carne viene messa a marinare nell’aceto e sfilacciata;
10 Il khao soi della Thailandia del Nord, un curry di pollo e noodles fritti.
9) Viaggioin nasce con l’intento di dare suggerimenti a chi decide di mettersi in viaggio per visitare le bellezze nel nostro mondo. Qual è il tuo consiglio?
L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di lasciarsi guidare dalle proprie curiosità e sensazioni, come ho sempre fatto io, senza limitarsi. E’ l’unico modo per cucirsi davvero un viaggio addosso.